Natale: il messaggio del Vescovo

Qualcuno potrebbe pensare che quest’anno, a Natale, siamo costretti a fingere più del solito. Ci potrebbe essere il timore che luci, auguri, regali e cene di festa riescano a essere ancora più stucchevoli e vuoti di altre volte. E in effetti, con la pandemia in giro e le sue conseguenze incombenti a ogni livello, con le cattive notizie di sempre e tutte le tragedie abituali in corso nel mondo, con che coraggio oseremo dirci «buon Natale»? Eppure, ritengo più che mai che dobbiamo farlo con convinzione e sincerità, con gioia profonda e verità, proprio in questi giorni tribolati. È la specialità dei cristiani annunciare Gesù che nasce nella notte del mondo! Non è forse Lui la luce che si accende mentre nel quotidiano, non solo non ci sono ancora segnali che le cose presto andranno meglio, ma addirittura aumentano i presagi più inquietanti?
Il Natale di Gesù, di fatto, non ha bisogno di contesti favorevoli per essere davvero buono per ciascuno di noi. Buono per i malati in ospedale, per le famiglie in ansia o in lutto, per i curanti provati dalle fatiche aggiuntive di questi mesi, per tutti coloro che soffrono e non riescono a liberare il cuore dalla paura! Teniamo presente la scena evangelica di Betlemme. Gesù non viene al mondo in un ambiente da lungo tempo predisposto per accogliervi un neonato. Lo spazio in cui la Madre partorisce è un luogo di fortuna, trovato all’ultimo momento. Le circostanze sono quelle della precarietà. Le condizioni sono quelle che sono, in gran parte non volute, determinate da cause di forza maggiore. Il Bambino nasce in un angolo nascosto di un povero alloggio, in quella parte dell’abitazione dove gli unici elementi favorevoli all’evento sono l’assenza di trambusto e il minimo tepore emanato da qualche animale.
Da mesi, in fondo, ci troviamo tutti a questo stesso livello. Dall’alto al basso della nostra società – autorità, scienziati, esperti e gente comune – abbiamo fatto fronte con tanto artigianato a quello che ci è capitato. Abbiamo cercato tante maniere di rispondere alla crisi, di adattarci alle limitazioni imposte dal rapido espandersi della pandemia. Ci muoviamo, però, ancora tra pochissimi e modesti punti fermi. Dobbiamo cercare ogni giorno lo spazio meno insicuro per collocarvi ciò che ciascuno di noi percepisce come più fragile e prezioso.
Forse, tra poco, arriveranno vaccini efficaci, elaborati a tempi di record nei più avanzati e sofisticati laboratori di ricerca farmaceutica mondiali. Tuttavia, in questo periodo, ci siamo tutti trovati ad annaspare nel buio. Ancora adesso non siamo in grado di puntare ai massimi risultati desiderabili. Cerchiamo semplicemente di fare il meno peggio, anche se con grande generosità e dedizione da parte di moltissimi, per curare, proteggere e mettere al riparo.
Maria e Giuseppe hanno fatto lo stesso quando si è trattato di accogliere su questa terra il Dono più grande di Dio, la vita umana del Suo Figlio Gesù. Non hanno aspettato di avere il massimo da offrirgli. Non hanno condizionato il loro coinvolgimento e il loro impegno alla possibilità di raggiungere prestazioni superiori alle loro capacità. Si sono dati da fare con quello che avevano per accogliere sulla terra la Parola eterna, che da sempre Dio ha avuto in mente di dirci. Non hanno potuto fare di meglio. Eppure, chi potrebbe dire che le cose avrebbero dovuto andare diversamente? È indistruttibile la bontà del Natale. Continua a spuntare nei più impensabili angoli di questo nostro mondo stravolto. Potremmo dire della nascita di Gesù quello che san Paolo dice della carità: «Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta» (1 Cor 13,7). «È apparsa la grazia di Dio… la bontà di Dio, salvatore nostro, e il suo amore per gli uomini» (Tt 2,11; 3.4) dirà lo stesso Apostolo a Tito, nei testi che leggiamo nella liturgia. Non è un discorso astratto o una pia illusione. È un incontro che possiamo fare quando meno ce lo aspettiamo, nel momento in cui siamo meno pronti e più agitati per mille motivi. Un piccolo angolo del cuore, per quanto grezzo e poco igienizzato, può sempre essere disposto affinché la bontà di Gesù nasca in noi. Basta mollare la presa del nostro perfezionismo e del nostro disfattismo. La Bontà divina sceglie di vivere un frammento della Sua creazione. In poco più di trent’anni di vita palestinese ci ha detto tutto di sé e non avremo mai finito di ascoltarlo. È talmente grande e vivo il miracolo della presenza umana di Dio in mezzo a noi che, come ha detto qualcuno, «se avessimo le orecchie un po’ più allenate e attente, potremmo sentire ancora oggi il rumore dei granelli di sabbia spostati dai suoi sandali».
Buon Natale a tutti, dal profondo del cuore!

Mons. Valerio Lazzeri, vescovo di Lugano